Il Teatro Comunale Claudio Abbado vuole raccontare la sua storia, in occasione dei sessant’anni dal restauro: la mostra Ferrara teatro della città nelle illustrazioni di Claudio Gualandi invita i visitatori ad affacciarsi alla vita dei palcoscenici cittadini. Il racconto del Teatro Comunale comincia con la prima delle prime: il 2 settembre 1798, in piena occupazione francese, inaugura quello che si chiamava Teatro Nazionale, progettato da Cosimo Morelli e Antonio Foschini. Nobili e borghesi si mischiano ai “tipi ferraresi” per assistere a Gli Orazi e i Curiazi nella versione di Marco Portogallo. Prosegue con il Teatro restituito alla città, nel 1964, restaurato dopo la seconda guerra mondiale e dopo quasi vent’anni di disuso: il 31 ottobre si alza nuovamente il sipario, con un concerto dell’orchestra del Teatro alla Scala, diretta da Nino Sanzogno. Nel disegno di Claudio Gualandi il punto di vista sul palcoscenico è frontale, ovvero dal luogo privilegiato per uno spettatore, il palco d’onore. L’illustratore ci fa accomodare al posto delle autorità. In questo luogo ovattato, un salotto chiuso, ci sentiamo nascosti e allo stesso tempo esposti allo sguardo di tutti e tutti guardiamo, ma con discrezione. La scenografia è la città, ma è davvero un fondale, una finzione scenica o è una finestra aperta sulla piazza gremita di gente? Le opere di Gualandi accolgono una miriade di personaggi bizzarri, che popolano i luoghi del teatro cittadino: dal Palazzo Ducale con il suo teatro di cortile, a Palazzo Schifanoia, passando per il teatro di strada, la casa in festa di Ludovico Ariosto o il Teatro degli Obizzi.

La mostra in Rotonda Foschini resterà visitabile sino al 15 settembre. Le opere esposte al Ridotto del Teatro sono invece visitabili dal lunedì al venerdì dalle 10.00 alle 13.00, previa prenotazione al numero 0532 202675.

 

Il Palazzo Ducale D’Este e il teatro di cortile

2023, china su carta e media digitale, cm 70 x 100

La corte estense è stata culla del teatro rinascimentale e, grazie al contributo del duca Ercole I, Ferrara occupa un posto determinante nella storia del teatro italiano. A quei tempi «la rappresentazione di una commedia era uno spettacolo straordinario – si costruiva appositamente un palcoscenico fornito di scenario dipinto». Inizialmente il luogo prescelto per gli allestimenti era il cortile del Palazzo Ducale, nell’odierna Piazza del Municipio, dove venivano erette eleganti tribune di legno per gli spettatori invitati. Molteplici le attività che concorrevano alla realizzazione degli spectacula: traduzioni in volgare delle commedie, decorazione delle scene e dei luoghi per il pubblico, creazioni delle musiche e dei costumi. Terminato lo spettacolo, tutto veniva disfatto, a parte alcune macchine teatrali. La corte assisteva agli spettacoli dai piani alti del palazzo ducale e così la troviamo nel disegno. Dal nostro angolo guardiamo l’imponente scalone d’onore di marmo bianco, costruito nel 1481 su disegno di Pietro Benvenuto degli Ordini; il Volto del Cavallo, da cui si ammira, tra la nebbia della stagione carnevalesca, il protiro della cattedrale; la bella facciata dell’antica cappella di Santa Maria di Corte, poi adibita a teatro e oggi Sala Estense. In questo spazio ricco di arte, i personaggi raccontano senza soluzione di continuità il palcoscenico rinascimentale di ieri e gli sposalizi di oggi

Palazzo Schifanoia, il fondo scena teatrale

2016-23, china su carta e media digitale, cm 70 x 100

Un sipario immaginato si apre e scopre la facciata dell’edificio con il grande portale marmoreo. I due tendaggi sono decorati con gli stessi motivi geometrici che un tempo dovevano ornare tutto il fronte del palazzo, usato come scenografia fissa per rappresentazioni all’aperto. Una funzione che qui è riproposta come sfondo per un’azione fantastica di teatro: i Mesi, dipinti sulle pareti del Salone al piano nobile, prendono vita scendendo sul palcoscenico della spianata antistante il palazzo, per un nuovo spettacolo. Ci sono tutti, anche quei Mesi che nel ciclo di affreschi oggi sono lacune (gennaio, febbraio, ottobre, novembre e dicembre), e che qui, nell’illustrazione, vengono rappresentati da segni dello zodiaco. Rispetto all’osservatore, partendo da destra nel disegno, la distribuzione dei Mesi rispecchia l’apertura in piano delle quattro pareti del Salone. Più che mai in questo disegno è privilegiatala “messa in scena”.

La parva domus di Ludovico Ariosto

2019, china su carta e media digitale, cm 70 x 100

Questa tavola rende omaggio al poeta e commediografo a cui Alfonso I d’Este aveva affidato la direzione degli spettacoli di corte. Ludovico Ariosto suggerì al duca di fabbricare nella Sala Grande del Palazzo Ducale, prospiciente l’arcivescovado, un teatro stabile che si dice magnifico e il primo in Italia. Era cosa ambita per principi e gran signori assistere o addirittura prender parte alle commedie. Ma Ariosto è descritto come un uomo incline per natura alla meditazione e allo studio, che ama vivere ritirato. In cerca di un luogo tranquillo dove abitare, acquista allora per sé una piccola casa appartata, in contrada del Mirasole, un progetto di Girolamo da Carpi. Messer Lodovico non ne voglia troppo all’autore per il subbuglio in cui trova la sua placida dimora, che tanto desiderava immersa nella quiete degli orti: durerà il tempo di una festa. Giungono infatti a convegno per celebrarlo altri grandi poeti e letterari italiani: Dante, Petrarca, Manzoni, Tasso, Marinetti, Bassani e personaggi illustri che hanno visitato nei secoli a venire la casa museo come Giuseppe Verdi e Vittorio Emanuele III. Si sente un gran vociare, prendono vita le fantasie. Un clangore di spade arriva dal teatro di marionette allestito in tutta fretta, ci sono i pupi siciliani in scena a raccontare le gesta dell’Orlando. Nel cielo volano verso la luna Astolfo e san Giovanni, per recuperare il senno perduto del furioso paladino. Affacciate alle finestre, al piano nobile, cantano le donne, i cavallier, l’arme, gli amori.

Il Teatro degli Obizzi

2023, china su carta e media digitale, cm 70 x 100

Nello spazio urbano dove oggi è ubicato il Teatro Verdi, al principio era il teatro dell’Accademia degli Intrepidi, un elegante edificio progettato da Giovan Battista Aleotti per conto del ricco gentiluomo Enzo Bentivoglio «amantissimo di teatro». Acquistato poi dalla nobile famiglia degli Obizzi fu in parte modificato dall’architetto Carlo Pasetti. Era il 1660. L’immagine di un disegno d’epoca, conservato presso l’Archivio Storico della Biblioteca Ariostea, ci offre la rappresentazione del Teatro di Mario Pio Enea degli Obizzi a Ferrara, com’era la parte destinata al pubblico «ridotto alla moderna […] in forma ovale, con cinque ordini di palchetti a guisa di ringhiera […] ornato splendidamente». Su questo sfondo evocativo e adattato per l’occasione, si immagina la messinscena di uno spettacolo barocco con vista dal palcoscenico, dietro le quinte. Ferve il lavoro degli attori e dei tecnici, alle prese con le macchine per introdurre e muovere nuvole, astri, destrieri, per aprire botole con trabocchetti e apparizioni a sorpresa tra suoni e fumi. Anche i costumi, già essenziali per le commedie, sono pronti per il prossimo cambio di scena. Molti spettatori, incredibile, escono dal disegno antico, occupano la barcaccia, vengono a ridosso del palco per godere al meglio l’opera.

1798, inaugurazione del Teatro Nazionale

2023, china su carta e media digitale, cm 50 x 120 (part.)

Una serata memorabile, così si ricorda l’inaugurazione del tanto atteso Teatro Nazionale, il 2 settembre 1798, in piena occupazione francese. «Si desiderava, si voleva, si reclamava un teatro vasto, bello, elegante, che potesse stare alla pari con quelli di altre città principali». Il cardinale legato lo fece costruire nel centro della città, accanto al Castello. Fra diatribe, difficoltà e interruzioni, il risultato finale si deve all’operato dei progettisti Cosimo Morelli e Antonio Foschini, come la scelta di un inserimento urbanistico armonioso dell’edificio, non appesantito da facciate monumentali, e del piccolo cortile ovale interno che creava un passaggio per il transito delle carrozze, collegando gli attuali corso Martiri della Libertà e corso Giovecca. Ed eccoci alla prima delle prime, si appresta un vasto pubblico, impaziente di assistere allo spettacolo di apertura, l’opera Gli Orazi e i Curiazi di Ettore Cimarosa nella versione di Marco Portogallo. Nobili e borghesi si mescolano ai “tipi ferraresi”, come li disegnò un secolo dopo l’illustratore Edmondo Fontana, in uno scorcio di vita cittadina. Il portone del teatro è spalancato e si può vedere fino al palcoscenico. Quanti nomi illustri ne calcheranno le assi: Paganini, Rossini, Ristori, Puccini, Rubinstein…

1964, il Teatro ritorna alla città

2023, china su carta e media digitale, cm 70 x 100

Nel 1964 veniva riconsegnato alla collettività il Teatro Comunale, restaurato dopo il periodo drammatico della seconda guerra mondiale e dopo quasi vent’anni di disuso, tanto che i ferraresi temevano di averlo perduto per sempre. Si alzava nuovamente il sipario il 31 ottobre, con un concerto dell’Orchestra del Teatro alla Scala, diretta dal maestro Nino Sanzogno. Riprendevano finalmente le attività teatrali, era una grande festa per tutta la città, e lo è anche oggi. Andiamo, rechiamoci a teatro: nel disegno il punto di vista sul palcoscenico è frontale ovvero dal luogo privilegiato per uno spettatore, il palco d’onore. L’illustratore ci fa accomodare al posto delle autorità. In questo luogo ovattato, un salotto chiuso, ci sentiamo celati e allo stesso tempo esposti allo sguardo di tutti e tutti guardiamo, ma con discrezione. Vediamo volti nuovi e anche tanti frequentatori assidui. L’apertura del palco è una cornice nella cornice del boccascena. L’attenzione corre sulla linea ellittica del bel teatro all’italiana, fino alla ribalta. Il sipario si è alzato, è aperto, la scenografia è la città, ma è davvero un fondale, una finzione scenica o è una finestra aperta sulla piazza gremita di gente?

Il Teatro Comunale “Claudio Abbado”

1984-2024, china su carta e media digitale, cm 70 x 100

Il punto di vista è dal proscenio, l’osservatore diventa attore e può godersi a luci accese la platea, i palchi e il loggione al completo di un pubblico in attesa che inizi la rappresentazione. Nel frattempo la gente parla, si osserva con curiosità, qualcuno spettegola sull’abbigliamento, chi cerca l’amico, chi legge il programma di sala. C’è festosità, è uno spettacolo prima del grande spettacolo. Nel disegno, il parterre è diviso in due dalla corsia di ingresso, come una volta. Si approssimano gli ultimi ritardatari che la attraversano consapevoli di essere al centro degli sguardi e sfilano come su una ribalta. In primo piano, ai lati opposti del palco, sbirciano nascosti dai tendaggi l’autore e sua moglie. Il brusio delle voci è intenso, sembra alzarsi, si mescola all’apparente anarchia musicale dell’orchestra nel golfo mistico, qui esattamente disposta secondo l’ordine sinfonico degli strumenti. È l’attimo cruciale dell’accordatura, ma attenzione, che caos: il sipario è aperto, il maestro è già sul podio, si spengano le luci!

Il Teatro Arena Tosi Borghi

2023, china su carta e media digitale, cm 50 x 120 (part.)

Da osservare come attraverso una lente di ingrandimento puntata sul passato ottocentesco di uno spazio teatrale, popolare, costruito sulle ceneri di quelli che furono prima il Teatro degli Intrepidi, poi degli Obizzi, sempre in quello stesso spazio urbano dove oggi troviamo il teatro Verdi. Al Teatro Tosi Borghi, ci si va come si vuole, si fuma, si chiacchiera, ci si trova in confidenza con gli amici, e nessuna etichetta obbliga a stare, come si suol dire, sulle seste. Ogni spettacolo all’Arena, purché non sia addirittura impossibile, va sempre bene; […] I veglioni poi del carnevale sono divenuti proverbiali; e chi li osserva freddamente dalle gallerie, senza prendervi parte, si forma un’idea della gioja aperta, fragorosa, sfrenata del popolo, il quale per alcune ore là in quella foga del danzare senza ritegno e senza misura, in quel tramestio, in quel vociare alto e confuso, dimentica le ansie e le sofferenze della vita, e spesso anche la miseria che lo travaglia.
Aldo Gennari, Il teatro di Ferrara, 1883, p. 48

Il circo in città

2016, china su carta e media digitale, cm 70 x 70

La chiesa di San Nicolò, risalente ai primi anni del XII secolo, venne ampliata a partire dall’abside, la cui struttura architettonica è attribuita a Biagio Rossetti e ultimata nel 1499. Tra le varie destinazioni cui questo edificio sacro è stato sottoposto nel corso dei secoli e in particolare dopo la soppressione napoleonica, lasciano spazio all’immaginazione quelle a «serraglio di belve feroci» nel 1820 e, in seguito, a deposito e allevamento di cavalli che vedeva tutto il complesso e buona parte della piazzetta occupati da recinti per gli animali. Nell’illustrazione si immagina allora l’arrivo di un circo equestre all’aperto, proprio qui a ridosso dell’abside. Inizia lo spettacolo e si esibiscono veri talenti: giocolieri, domatori, trapezisti, antipodisti, cavallerizzi, famosi clown come i Fratellini e Grock. Fa una comparsa anche il colonnello Cody, mitico Buffalo Bill, che nel 1906 approdò con la sua carovana nella Piazza d’Armi, a pochi passi da San Nicolò. In questo circo ideale i facchini sono angioletti e gli animali, feroci e non, convivono pacificamente, senza gabbie. I ferraresi accorsi per l’occasione ammirano entusiasti.

1906, Buffalo Bill a Ferrara

2023, china su carta e media digitale, cm 50 x 120 (part.)

Sulla spianata di quella che fu l’antica Piazza d’Armi fece tappa il grande spettacolo itinerante di Buffalo Bill: il Wild West Show. La colossale compagnia aveva attraversato l’oceano dagli Stati Uniti per la seconda tournée europea, a Ferrara giungeva preceduta da una campagna pubblicitaria enorme e dallo stesso clamore suscitato ovunque. Due soli gli spettacoli, concentrati il pomeriggio e la sera del 13 aprile 1906. La «Gazzetta Ferrarese» riportava molta réclame dell’evento, programmi e articoli di critica già dall’8 di aprile di quell’anno. Manifesti e cartelloni non lasciavano uno spazio libero in città, i negozi esponevano souvenir e cartoline. Solo l’arrivo in stazione dei convogli che trasportavano centinaia di persone, materiali, attrezzi, cavalli fu un’attrazione per i cittadini, così come le fasi di allestimento. Nel disegno si immagina un momento dell’esibizione di un vasto programma che comprendeva la banda musicale dei cowboy, la ricostruzione della battaglia di Little Big Horn, una parata di tutti i cavalieri, l’assalto di veri pellerossa alle diligenze, il rodeo… e Buffalo Bill, cavallerizzo temerario ed eccelso tiratore che «al galoppo colpiva ancora 23 volte su 25 le palle di vetro lanciategli da un indiano, pure a cavallo». Quanto pubblico, c’è chi parla di 12.000 biglietti venduti.

I teatri di strada

2024, china su carta e media digitale, cm 60 x 100

Torna nel racconto illustrato l’antico cortile ma nella sua veste odierna di Piazza Municipale. Qui, gli attori, lasciato lo spazio chiuso teatrale si riprendono quello aperto, urbano. Sulla strada cambia il rapporto con il pubblico che è chiamato ad interagire direttamente, a immedesimarsi trovandosi in stretto contatto, se non parte, della rappresentazione. Lo spettacolo diventa così ogni volta diverso, irripetibile. La piazza con le sue architetture è la scenografia, la città è il teatro. Funamboli, musicisti di strada e una “baracca” dei burattini sono già in postazione. Rivivono l’Orlando furioso di Luca Ronconi (1969), che proprio qui fece tappa con i suoi palchi su carrelli rotanti e gli apparati fantastici, e il Quijote! (1990) del Teatro Nucleo, un coinvolgente spettacolo di strada dedicato al cavaliere visionario di Cervantes e ai suoi fantasmi concretizzati in «sferraglianti ed abbaglianti macchine teatrali». I due poemi e i loro folli eroi sono chiamati ancora una volta a dialogare fra loro.

La Sala Polivalente e il teatro sperimentale

2024, china su carta e media digitale, cm 60 x 80

È ricordo, sogno e anche nostalgia di quegli anni Settanta e Ottanta in cui una delle scuderie gemelle del Palazzo Massari era stata trasformata in un piccolo teatro, modernissimo e antico allo stesso tempo. La Sala Polivalente, parte integrante del Centro di Video Arte del Palazzo dei Diamanti, sotto la direzione insostituibile di Lola Bonora con la collaborazione di Carlo Ansaloni, aveva un palcoscenico essenziale e una platea a gradoni, il tutto in legno chiaro. Si oltrepassa il grande cancello di ingresso, come un tempo le carrozze di proprietà del duca Massari, per raggiungere l’edificio nel giardino, sullo sfondo del parco, tra statue e installazioni. Qui si sperimentavano realtà «cinematografiche, teatrali, musicali, poetiche, oppure elettroniche oppure appartenenti a quel genere tuttora molto ambiguo che è la performance». C’è un gran viavai di artisti, un respiro internazionale, non manca all’evento Franco Farina, mitico direttore delle Gallerie di Arte Moderna e Contemporanea della città. Dal 1994 si chiude l’esperienza e la palazzina diventa deposito di opere d’arte, ma come sarebbe stata felice di ospitare questo teatro la padrona di casa Maria Waldmann Massari, cantante lirica, una delle interpreti preferite da Giuseppe Verdi.