Bizzarro combinato di stili, che qua e là strizza l’occhio alla commedia all’italiana, il film di Petri ha provato a raccontare l’Italia attraverso il lavoro. Riattraversarne la vicenda significa riflettere su quanto l’affresco grottesco immaginato da Petri nel 1971 sia più o meno distante dal nostro tempo – post-moderno e post-ideologico – che fatica a riconoscere i tratti di una qualsivoglia “classe operaia”, dispersa e nascosta dietro gli innumerevoli volti del lavoro “flessibile”. Se l’inferno della fabbrica cottimista appare ben lontano dagli uffici dei precari odierni, lo stesso non è del ritmo ossessionante di una quotidianità, allora come oggi, alienata.
Claudio Longhi