È una straordinaria figura di narratore – nello stesso tempo arcaica e modernissima – che può prendere forma in un lavoro di drammaturgia basato sul capolavoro di John Steinbeck. E forse non c’è un attore, nel panorama teatrale italiano, più in grado di Massimo Popolizio di prestare a questo potentissimo, indimenticabile «story-teller» un corpo e una voce adeguati alla grandezza letteraria del modello.
Emanuele Trevi
Nell’estate del 1936, il San Francisco News chiese a John Steinbeck di indagare sulle condizioni di vita dei braccianti sospinti in California dalle regioni centrali degli Stati Uniti, soprattutto dall’Oklahoma e dall’Arkansas, a causa delle terribili tempeste di sabbia e dalla conseguente siccità che avevano reso sterili quelle terre coltivate a cotone. Il risultato di quell’indagine fu una serie di articoli da cui l’autore americano generò, tre anni dopo, nel 1939, il romanzo Furore. Quello a cui si assiste è il racconto di come John Steinbeck trasformò quella decisiva esperienza giornalistica, umana e politica in grande letteratura.